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La zingarata della verginella di via Ormea

Editore: 
e/o
Luogo di edizione: 
Roma
Anno: 
2014


Recensione: 

Amara Lakhous torna in libreria con un avvincente romanzo giallo. L’autore porta nel titolo una verginella e via Ormea. Tra questi due elementi è racchiusa l’intera vicenda. Fa da sfondo la Torino dei giorni nostri dentro la quale si muove una famiglia medio borghese con la sua verginella di quindici anni, un cugino nero, una nonna matriarca e tutti gli abitanti di questa famigerata via Ormea. Una tragedia colpisce la più conservatrice di tutte le famiglie torinesi: Virginia, rigorosamente vergine anche nel nome, viene stuprata proprio nella via in cui abita. Nulla sarà più come prima. Ad essere stuprato non è il corpo della giovane, ma l’intero nucleo familiare e l’intera Torino. Chi sono questi malavitosi artefici del delitto? Quanti anni hanno? Perché l’hanno stuprata? Perché si trovavano proprio lì e proprio quella sera? La gente chiacchiera senza sosta. Ognuno ha già risolto l’enigma. La colpa è degli zingari che sono venuti in Italia solo per derubare, stuprare e uccidere gli onesti cittadini italianissimi. A questo punto Lakhous chiama all’ordine Enzo Laganà, giornalista indenne al pregiudizio e alle malelingue. Cosentino emigrato al nord che tiene in tasca un telefono pronto a squillare. Dall’altra parte della cornetta ci sarà sempre sua madre, la più calabrese delle madri, in attesa di saperlo sposato e sistemato. Assieme a lui, come una doppia voce nel romanzo, parteciperà alle indagini una donna misteriosa che di pagina in pagina mostra al lettore la sua intricata vicenda, Patrizia Pascali, in arte Drabarimos. Una zingara, questa volta italianissima, che decide di cancellare la sua vera identità di donna/bianca/italiana/bancaria attraverso un finto suicidio, per diventare, appunto, una zingara senza nome (Drabarimos è colei che legge il futuro attraverso le carte) e senza fissa dimora. Che l’inchiesta abbia inizio. Laganà dovrà sbrogliare l’intera matassa per cercare il colpevole. E alla fine lo trova. Con una geniale intuizione capisce che la soluzione dell’intera indagine è sempre stata custodita tra le labbra della verginella, che ha costruito attorno allo stupro un’enorme bugia (per dirla alla torinese una “zingarata”). La penna di Amara Lakhous è, senza dubbio, la più italiana che abbiamo oggi. A dimostrazione che ogni scrittore nasce nel momento in cui nasce il suo libro. E questo testo, attraverso un esercito di personaggi che si incontrano a spasso per Torino, descrive in maniera tragicamente cruda l’Italia e gli italiani. Una lingua fresca, viva, che guizza fuori dalla pagina, quasi che l’intera vicenda non fosse scritta, ma raccontata. Una scrittura sincera, che sviscera la mentalità dell’italiano medio benpensante per svuotarla, mettendo in risalto l’ipocrisia dell’era moderna. Nel romanzo c’è il dramma del pregiudizio, di qualsiasi ordine e grado, che come una palla rimbalza di bocca in bocca.
Tutto celato dietro un’ironia sconvolgente, che miete vittime ovunque l’autore rivolga lo sguardo.
Più attuale che mai, questo è un libro che andrebbe portato sempre in tasca e aperto ogni volta che ci viene da pensar male di qualcosa o qualcuno che non conosciamo bene.

Autore della recensione: 
Floriana Ciccaglioni