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L'ultimo arrivato

Editore: 
Sellerio
Luogo di edizione: 
Palermo
Anno: 
2014

Recensione: 

Il terzo romanzo di Marco Balzano resta su uno dei temi a lui cari e già indagati sul piano letterario, ossia l'emigrazione interna italiana da sud a nord e le sue ripercussioni nella vita delle persone. Nonostante ciò, "L'ultimo arrivato" non scivola nel rischio di ridondanza ma riesce a mettere in luce un ulteriore aspetto di quel fenomeno di massa che ha riguardato l'Italia a partire dalla metà del secolo scorso, ossia l'emigrazione precoce di ragazzini, soli o accompagnati da un conoscente o parente, verso le città settentrionali. In tal caso il protagonista si chiama Ninetto, vive in un piccolo paese siciliano, San Cono, e precipita in una situazione che sfiora l'indigenza quando la madre colpita da un ictus viene inviata in uno squallido ospizio e il padre non riesce più a tenere le fila della famiglia, perdendosi nel gioco e dimenticando se stesso e l'unico figlio che ha. La sola figura importante di riferimento per Ninetto è il suo maestro elementare, una scelta simbolica importante da parte dell'autore che pare sottolineare come in certi contesti di miseria materiale e angustia l'unico presidio che resiste e infonde fiducia e coraggio resti la scuola. Non sarà un caso che nell'unico ritorno descritto nel testo, dopo qualche anno dalla prima partenza, Ninetto vada proprio a ritrovare il maestro Vincenzo, quel maestro che prima di partire gli aveva regalato un diario, una tavoletta di cioccolata e un pacchetto di buste da lettere: «disse di scrivere a casa perché chi se ne va, per una ragione o per un'altra, in fretta si dimentica di chi rimane» (p. 31). Il maestro, in quel saluto prima della partenza, aveva spiegato a Ninetto che a Milano avrebbe potuto essere felice, a dispetto di San Cono, ma quasi con amara preveggenza, Ninetto aveva pensato tra sé e sé: «ricordo che la parola mi sembrò come i pantaloni in campagna. Grande e male adatta» (p.30). Questa similitudine illustra peraltro una peculiarità della lingua di Balzano, che in questa opera pare rafforzarsi ulteriormente: l'italiano che usa, anche nelle sue inflessioni dialettali e colorite, è vivido, materico e conferisce pienezza ai personaggi, attribuisce loro concretezza e umanità, fissandoli con immediatezza nell'immaginario di chi legge.
L'emigrazione nelle grigie periferie milanesi è molto dura per un ragazzino che deve basarsi solo sulle proprie forze e che vive con amarezza il fatto di non riuscire a riempire le pagine di quel diario che il maestro gli aveva donato. Il silenzio di Ninetto, la sua difficoltà ad esprimere se stesso, paiono una costante dell'intera sua esistenza, che resta comunque caratterizzata da una infaticabile determinazione: è infatti tratteggiato con grande umanità il rapporto con Maddalena, la ragazzina di cui si innamora e che vuole a tutti i costi (anche lei emigrata poco più che bambina a Milano) e che resterà la compagna della sua vita, anche quando nulla andrà più per il verso giusto.
Quella che dipinge Balzano è una Milano che si trasforma, che vede avvicendarsi nelle periferie anonime (i cui condomini sono chiamati "alveari") prima gli immigrati meridionali e poi quelli odierni, senza mutamenti in termini di squallore e abbandono: ciò che cambia sono le fabbriche che non esistono più, il lavoro scomparso per chi come Ninetto deve riprendere in mano la sua vita, dopo una parentesi lunga dieci anni al carcere di Opera.
La grande umanità che i personaggi esprimono, con i loro errori, sogni e limiti trova ulteriore e finale rivelazione nel rapporto tra Ninetto e la nipote di cinque anni, che la vita gli impedisce di frequentare; nell'unica occasione che viene offerta loro per stare insieme si esprime una grande tenerezza ed anche una sconfinata malinconia per quella che è stata l'esistenza di Ninetto nell'alveare, tra le ciminiere, che vuole a tutti i costi mostrare alla piccola.
Nella postfazione l'autore racconta di aver tratto spunto per questo romanzo da una quindicina di interviste fatte a operai sessanta, settantenni emigrati a Milano, Torino e Genova, nei cui ricordi vive un'immagine tutto sommato positiva e avventurosa dell'infanzia - carica di sogni e aspettative - che poi si sono smorzati nei 30-40 anni di lavoro in fabbrica. «Insomma sull'entusiasmo di prima cala un silenzio imbarazzato, non di rado triste» (p. 204). Ed è proprio questo silenzio imbarazzato, non di rado triste, che permea gli anni della vecchiaia di Ninetto e che Balzano è riuscito a dipingere con tratto sicuro e leggero allo stesso tempo.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti
Pagine di...: 

Il viaggio in treno da sud a nord: pp. 33-38