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Il muro nel cuore

di Maria Rosa Mura

Il muro di Berlino è rimasto il simbolo della negazione di un diritto fondamentale dell'uomo, uno dei più elementari: muoversi, viaggiare, spostarsi per vivere altrove e poter tornare liberamente nel luogo da cui si è partiti.

 

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 lo riconosce formalmente nell'articolo 13 e nel primo comma dell'articolo seguente:

Articolo 13
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.

Articolo 14
1. Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni.

 Abbiamo scelto l'affermazione di questo diritto come tema per le nostre attività autunnali, dalla mostra di ottobre - novembre alle Gallerie di Piedicastello agli incontri della settimana dal 10 al 15 novembre. Con Il muro nel cuore vogliamo ricordare la gioia di 25 anni fa, quando il muro di Berlino è caduto, e rimarcare quante divisioni esistano ancora e quanti muri si costruiscano, spinti soprattutto dalla paura.

Difficile tenere il conto dei muri nel mondo, di tanto in tanto i giornalisti ci provano, ma se ne scoprono sempre di nuovi.

 

Anche nei giornali odierni si legge del muro innalzato all'interno di un condominio a New York. Per avere importanti sgravi fiscali i costruttori di un edificio di lusso a Manhattan hanno riservato alcuni appartamenti a inquilini a basso reddito, con affitto convenzionato, hanno però costruito due settori completamente diversi per materiali, con porta di accesso diversa - poor door, ascensori separati ed un vero e proprio muro tra la zona ricca e quella meno abbiente. L'amministrazione De Blasio si è già attivata per cambiare la legge che lo ha consentito e riaffermare per NY la sua fama di città aperta che rifiuta le discriminazioni.

Ma l'abitudine è diffusa in tutte le città del mondo e assume le vesti più diverse. Le invenzioni più tristi mi sembrano le “gated communities”, zone residenziali private composte da diverse unità abitative, per  cittadini benestanti, con molti servizi interni e una rete di sorveglianza 24 ore su 24, con cancelli, muri e guardie giurate a cui bisogna preannunciare l'arrivo e l'identità degli ospiti. Molto diffuse negli Stati Uniti e in America latina, neanche a dirlo in Sud Africa, appaiono anche in Europa.

Con questo spirito da borgo ‘con ponte levatoio’ è stato costruito ad esempio in Lombardia il complesso di Cascina Vione a Bisaglio, dotato perfino di una chiesa 'interna’ o quello della Viscontina e di Rovido a Buccinasco. Non si tratta solo di insediamenti residenziali esclusivi, di lusso e ben curati, ma di luoghi in cui domina l'insicurezza e la paura che fanno erigere barriere protettive contro l'Altro, l'estraneo, l'indesiderato, il criminale (nella illusoria convinzione che il criminale sia al di fuori e non dentro il ricco ghetto).

La paura, non il sano istinto di sopravvivenza a fronte di un pericolo reale, ma l'ansia continua e immotivata, ci porta a progettare continuamente forme di difesa.

 Il muro di Berlino, simbolo delle divisioni della guerra fredda, dispendiosa costruzione, causa di infinita sofferenza e di morte, era stato eretto anch'esso per la paura delle autorità della RDT di non riuscire a frenare la fuga di massa e a convincere i propri concittadini della bontà del regime comunista. Nella sua possenza ed estensione era in realtà un'espressione di grande debolezza, il simbolo di una sconfitta.

25 anni fa è stato abbattuto. Abbattere i muri si può.