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Storia

Volti di un esodo

Racconti e testimonianze degli esuli istriani, giuliani e dalmati in Trentino - Alto Adige nel secondo dopoguerra, a cura di Elena Tonezzer , Museo storico in Trento onlus, 2005*

                    

Era un gelido e grigio mattino il 7 febbraio a Pola, con poche valigie ci recammo in piazza del Mercato,  era già piena di gente, chi in piedi, chi seduto sulle valigie; via via arrivavano i camion militari con i quali si raggiungeva il molo ove era in attesa la motonave Toscana; prima destinazione via mare Venezia e poi noi tutti fummo inghiottiti nel nulla: avevamo come meta il nome di una città o di un campo profughi, nessun indirizzo preciso, rione, via, numero civico: nulla.

Si scomposero famiglie, rapporti parentali, amicizie di una vita.

Di notte arrivammo a Rovereto, con noi c'era un'altra famiglia. Ricordo una stazione buia, gelida, silenziosa. Fino ad allora eravamo stati nella confusione totale, ma con un destino comune, un unico filo conduttore. All'improvviso ci ritrovammo soli ed estranei. Il capostazione fece scendere la moglie che ci offrì del latte caldo. Fuori, le lampadine elettriche illuminavano mucchi di neve gelata ai bordi dei marciapiedi; era una notte di inverno gelido.

Fummo ospitati per alcuni giorni all'Hotel Rovereto, ci fu poi assegnato un appartamento .... La sistemazione era provvisoria ci fu detto.Un altissimo muro ci divideva dalle altre case, ma il muro lo avevamo anche dentro di noi... l'indifferenza ostile fu totale. Neanche l'Italia ci voleva...

Ripresi la scuola, inserita in seconda media, niente sapevo né di latino né di matematica, a Pola avevano ben altro per la testa che essere esigenti a scuola. Mia madre mi mandò subito a lezione e fui una delle poche esuli, quell'anno, a non essere bocciata. Una pessima insegnante di lettere mi mise in fondo alla bancata, imparai che c'erano due trattamenti diversi: per i 'siòri' e per i 'poreti' e noi profughi eravamo fra questi: poveri, sporchi e fascisti.

Una mattina ero a casa da scuola, si aprì la porta e venne avanti una maestra, piccola e seria, dietro a lei alcuni bambini reggevano una fascina di legna che deposero a terra. Lei ci indicò ai bambini e disse. "Ecco, bambini, questi sono i profughi." La odiai; le umiliazioni, per noi, non finirono più.

...l'allora sindaco di Rovereto a cui si erano rivolte alcune madri esuli per ottenere condizioni più umane, le apostrofò dicendo: "Cosa volete, cosa siete venute a fare a Rovereto, ritornate da dove siete venute!" diede loro un'immagine della Madonna ed un consiglio "Pregate!" E c'era di che pregare, ma chi?

Non eravamo più in quella parvenza di casa dove eravamo stati messi all'inizio: Gli arrivi degli esuli erano sempre più massicci e ci collocarono in gran parte nelle caserme vere e proprie, altri nell'ex UIL, ove le divisorie erano fatte con le coperte; altri nel'Asilo Rosso, altri ancora sparsi in soluzioni di fortuna (si fa per dire). Quindi noi nelle caserme: erano stanzoni che mio padre era riuscito a far dividere con sottili pareti di mattoni.... Un lungo corridoio portava ai servizi comuni, d'uso militare, due turche con porte aperte sopra e sotto; lungo la parete un lunghissimo lavandino con tanti rubinetti: acqua gelida, ambiente gelido, freddo fuori e freddo dentro di noi, ma soprattutto non c'erano finestre...Noi si veniva da un paese solare, abitato da gente sempre sorridente. L'aria era ricca di profumi, il profumo del salso del mare mescolato all'essenza della resina dei pini marittimi...

Mi angosciava la situazione nella quale eravamo finiti e mi umiliava. Per Rovereto eravamo stati i primi 'forèsti', certo i tempi erano duri per tutti, ma un detto trentino recita 'en piat de bona cera no' s'el nega a nisùn'. A noi fu negato anche quello.Né per chi lavorava andò meglio. Mio padre [che lavorava nella Manifattura Tabacchi di Pola] a Rovereto, in Manifattura, non potè occupare il posto che gli competeva, c'era già il titolare e fu retrocesso. Ebbe comunque il suo gran daffare a placare gli animi delle tabacchine roveretane. "Vengono a rubarci il pane, le case e gli uomini" fu il benvenuto ed osteggiarono in tanti modi le operaie esuli che, in verità, venivano a Rovereto con trasferimento da una Manifattura all'altra. Questo si verificò in tutt' Italia. Ebbe poi a sedare i tumulti delle tabacchine esuli, quando, continuando gli arrivi dei profughi, arrivarono anche le tabacchine titine le quali, vista l'aria che tirava, preferirono optare per l'Italia.

.... Mancava a tutti il mare, le montagne ci opprimevano; mia madre non tollerava di essere imprigionata in casa, senza finestre, e fuori fra le montagne. Ci mancava il pesce. E chiedi e insisti finalmente un giorno aprì la pescheria.

*Dalla testimonianza di Anna Maria Marcozzi Keller, per più di un mandato presidente del Comitato provinciale di Trento dell'Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.