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L'amore e gli stracci del tempo

Editore: 
Einaudi
Luogo di edizione: 
Torino
Anno: 
2009

Recensione: 

L’amore e gli stracci del tempo ci riporta nei Balcani della seconda metà del Novecento e tratteggia dall’interno la parabola di due famiglie. Gli eventi storici, pur collocandosi sullo sfondo delle vicende, condizionano pesantemente la storia dei protagonisti, in particolare dei figli delle due coppie, Zlatan e Ajkuna. I genitori di Zlatan sono serbi, suo padre è un giovane docente universitario di medicina che poi deciderà di esercitare la professione di medico e stringe un’amicizia profonda, che durerà tutta la vita, con Besor, un albanese kossovaro. Si conoscono negli anni Settanta nell’università di Belgrado, dove Besor sta studiando medicina. Sin da subito tra i due si instaura un rapporto di fiducia e appoggio reciproci; quando Besor dovrà sopportare dieci anni di prigionia per aver partecipato ad una pacifica manifestazione studentesca in cui gli studenti albanesi chiedevano il medesimo trattamento riservato a quelli jugoslavi, («se erano tutti fratelli e si parlava di uguaglianza, perché gli albanesi dovevano ricevere centro dinari e gli altri cinquecento?» p.28), il suo amico Milos farà di tutto per non abbandonarlo. La prigionia impedirà a Besor di vedere crescere sua figlia Ajkuna, che con la madre Donika verrà ospitata in casa dei genitori di Zlatan per anni: «quando Milos aveva deciso di trasferirsi a Pristina era andato a parlare con Besor. – Vado a lavorare e vivere a Pristina, - gli aveva detto.- Andrò a prendere Donika e Ajkuna, così saranno più vicine a te. L’unica cosa che posso ancora fare» (p.30). Su questo intreccio si sviluppa la storia d’amore tra Zlatan e Ajkuna, che, da giovani adulti, non faranno in tempo a prenderne troppa consapevolezza a causa dello scoppio della guerra che negli anni Novanta li dividerà. Ma non è tanto su questo elemento che vorrei soffermarmi, quanto sul fatto che la “differenza culturale”, o etnica, che la guerra acuisce irrimediabilmente, non è affatto percepita dai protagonisti. Il fatto di essere stati così tanto vicini alla famiglia di Besor accrescerà sospetti e minacce nei confronti di Milos. Anche i bambini stessi, nei loro giochi, guardano ad Ajkuna come ad una straniera, perché, nonostante Zlatan si riferisca a lei come sorella, parla un’altra lingua, l’albanese. Nel gioco della guerra, potrebbe essere una spia e la rifiutano, ma Zlatan non ci sta: Ajkuna è come una sorella, non è diversa da lui, come potrebbe essere una spia? : «Il loro gioco è stupido. Andiamo nella casetta del nostro giardino e inventiamo una guerra tutta nostra! –Siamo solo noi due, - dice lei. – Come facciamo? – Non lo sai? E’ così che si fanno le guerre moderne, con i mezzi tecnologici. Non abbiamo bisogno di altri! –Ma io non voglio essere il tuo nemico! Lui la guarda sorpreso. Lei ha ragione, perché devono continuare con quel gioco che non mette d’accordo nessuno? Troveranno un altro gioco, pensa mentre le mette la mano sulla spalla e i lunghi capelli di Ajkuna si chiudono nella morsa del suo braccio» (p.39).
La scena del gioco, che appare tristemente premonitrice, dice molto di quelle che erano le relazioni tra persone che poi si sono trovate su fronti opposti e nemici. L’amore e gli stracci del tempo guarda ai Balcani dall’interno, a partire dalla quotidianità e dalle relazioni umane, senza sentimentalismi. La cifra stilistica di Ibrahimi, in tal senso, appare immutata rispetto al suo esordio: non troviamo toni epici, né rancore o sarcasmo, ma una asciuttezza di linguaggio che dice molto di quel conflitto e di come ha stravolto i rapporti tra popoli e persone che non si percepivano diversi. È una lente, quella scelta dall’autrice albanese, che senza retorica descrive un preciso momento storico a partire da dinamiche minime ma estremamente significative. La furia cieca del conflitto etnicizzato, i nazionalismi crescenti sono mali che hanno segnato e sembrano segnare ancora la terra balcanica.
La storia dei protagonisti, in particolare di Zlatan, diventerà anche italiana, caratteristica che accomuna questo romanzo al precedente, Rosso come una sposa. Si tratta di storie di “altri”, certamente, ma che diventano anche “nostre” e non solo per ragioni di scelte narrative.
Le persone che sono fuggite dai Balcani (e dai bombardamenti ONU, che più volte vengono citati nel corso del romanzo) sono diventate nostri vicini di casa: non dimenticare le ragioni che inducono le persone a emigrare – che siano tragiche come le guerre, o anche economiche, non ha grande importanza - aiuterebbe certamente a modificare l’atteggiamento verso gli immigrati, ad avvicinarsi a quello che hanno lasciato alle spalle, in una reciproca conoscenza e integrazione.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti