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Attualità

Jus soli: da stranieri a cittadini

Jus Soli: (si spera che non sia) tanto rumore per nulla?

di Gracy Pelacani*

Quando ad essere agli onori delle cronache sono le interruzioni che segnano il percorso di approvazione di una normativa più che il suo contenuto, significa che la riflessione sul che cosa non sta funzionando a dovere non è rimandabile oltre. Così accade con la proposta di modifica di alcune parti della legge n. 91 del 1992 in materia di cittadinanza, approvata dalla Camera dei Deputati il 13 ottobre 2015, e da allora bloccata al Senato, in attesa che anche questi l’approvi per poter entrare in vigore.

La proposta aggiungerebbe alle modalità attuali di acquisizione della cittadinanza alcune ipotesi di cd. jus soli temperato e di jus culturae. In altre parole, la modifica, un testo unificato nato dalla fusione di un disegno di legge di iniziativa popolare - promosso dalla campagna “L’Italia sono anch’io” composta da 22 organizzazioni della società civile - e di vari altri disegni d’iniziativa di un gruppo nutrito di deputati – si propone di dare la possibilità ai minori stranieri, nati in Italia da genitori che non sono cittadini italiani, di acquisire la cittadinanza senza dover attendere il compimento della maggiore età facendo una dichiarazione in tal senso o, se non possibile in questo modo, richiedendone la concessione dopo tre anni di residenza legale, o, infine, tramite l’acquisizione della cittadinanza da parte di uno dei genitori (per matrimonio o naturalizzazione) quando il minore conviva con esso.

La riforma, così come approvata dalla Camera nell’ottobre 2015, stabilisce che il minore straniero nato in Italia, e di cui almeno uno dei genitori sia titolare del diritto di soggiorno permanente o sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, acquisirà la cittadinanza a seguito di una dichiarazione in tal senso da parte di uno dei genitori. Nel caso in cui non si integrino i precedenti requisiti, e si tratti di minori nati in Italia o giunti sul territorio entro il dodicesimo anno di età, la medesima dichiarazione potrà essere fatta dal genitore all’aver il minore frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici. Ove la dichiarazione non sia presentata dai genitori durante la minore età, questa potrà essere fatta dallo stesso maggiorenne entro due anni dal compimento del diciottesimo anno d’età. Nel caso in cui non si integrino questi requisiti, ma si sia fatto ingresso nel territorio prima del compimento della maggiore età (per esempio, dopo il dodicesimo anno), si potrà acquisire la cittadinanza italiana al dimostrare una residenza legale di almeno sei anni, e la frequentazione, e positiva conclusione, di almeno un ciclo scolastico. Infine, si prevede che il minore nato in Italia, e risiedutovi legalmente fino alla maggiore età, disponga ora di due anni, e non più di uno solo, per presentare la dichiarazione di volontà al fine di acquisire la cittadinanza italiana.

Il testo, come detto, è fermo all’esame del Senato dall’ottobre 2015 e ricompare, secondo l’occorrenza delle forze politiche, nei dibattiti. Difficile prevedere, però, se e quando seguirà e concluderà, si spera positivamente, il suo percorso. Fino ad oggi si sono succedute numerose iniziative, soprattutto da parte della campagna “L’Italia sono anch’io”, già promotrice della riforma, e del movimento #italianisenzacittadinanza, per sbloccare la situazione. Tuttavia, almeno per ora, non paiono aver avuto l’effetto sperato.

Le critiche all’attuale testo non sono state risparmiate: è silente rispetto agli stranieri adulti, nel determinare i requisiti non è sufficientemente attento ai rischi di discriminazione delle persone con disabilità, ed è eccessivamente escludente al richiedere la titolarità solo di determinati titoli di soggiorno da parte dei genitori perché la dichiarazione a favore dei figli minori sia valida. Ciò nonostante, si era concordato da più parti nel considerarlo un buon punto di partenza. Una prima e non più rimandabile modifica di un testo nato vecchio e con lo sguardo rivolto al passato, perché molto più preoccupato alla conservazione dei legami con gli italiani emigrati all’estero nei decenni precedenti, che alle esigenze della sempre più crescente popolazione di origine straniera residente sul territorio, e intenzionata a fare dell’Italia la propria patria d’elezione.

L’avvicinarsi delle elezioni legislative rende complesso presentire quale sarà la conclusione di questa vicenda, essendo le normative in materia di cittadinanza ed immigrazione utili spauracchi e, da sempre, pregiate monete di scambio nelle campagne elettorali. Tuttavia, davanti l’impossibilità di prevedere il futuro, preoccupa, e non poco, che il dibattito e l’interesse per l’esito dello stesso paia rimanere limitato a quella parte della popolazione che finirebbe per trarne beneficio e, come ovvio, ai suoi detrattori. Mentre, si pensa, sarà solo forse nel momento in cui la maggior parte dei cittadini e dei non (ancora) cittadini si sentiranno chiamati in causa da questa vicenda, al di là dell’impatto che questa modifica potrà o no avere nelle loro singole vite, che si potrà prescindere dall’oscillante e capriccioso volere delle forze politiche.

*Gracy Pelacani insegna diritto costituzionale e diritto dell’immigrazione presso l’Università Pompeu Fabra di Barcellona e presso l’Università di Trento, rispettivamente. Studia le normative nazionali che regolano l’acquisizione della cittadinanza e il diritto dell’immigrazione, e scrive racconti su tutto questo.