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Per arrivare a sera

Editore: 
Rayuela
Luogo di edizione: 
Milano
Anno: 
2012

Recensione: 

Italia, Uruguay: Milano, Montevideo, Minas, questi i principali luoghi in cui si ambienta Per arrivare a sera di Milton Fernández. Storie, vite, passioni e drammi di personaggi che diverranno presto familiari a chi legge e che si snodano in un vortice di andirivieni nello spazio e nel tempo.
L'alternanza delle voci narranti contribuisce ad accentuare la sensazione di crocevia che questo romanzo incarna. L'io narrante parla del suo presente italiano e del suo passato uruguaiano, che però passato non è, poiché i rari rientri spalancano le porte a quello che gli antichi hanno chiamato il dolore del ritorno: «lo so, mi faccio pena. Sono colpito dal più subdolo dei mali: la nostalgia. E il mio si presenta in una forma dalla quale difficilmente si esce, perlomeno con le ossa sane» (72)
Impossibile divenire immune a tale sensazione di perdita: «Perché nessuno ha ancora inventato un vaccino contro gli addii? Perché non riesco a diventare insensibile al dolore?Non chiedo tanto. Vorrei soltanto essere in grado di passare da una parte all'altra dello specchio senza perdere ogni volta dei pezzi che nessuno mi ridarà indietro» (139)
Il senso di estraneità, il tempo sempre tiranno per cui, non appena ci si riassesta, si deve già ripartire; anche la lingua, in un passaggio che ben esemplifica il senso del passaggio, sembra ricomporsi: «il mio spagnolo comincia lentamente a perdere quel subdolo accento italiano che fa sorridere chi mi conosce da prima […] Le parole che ritrovo hanno un suono nuovo nella mia bocca e io, come al solito, sono l'ultimo a rendermene conto» (108).
Il romanzo è un continuo passaggio tra dimensioni reali e metaforiche, spaziali e temporali, anche linguistiche: numerosi gli inserti in spagnolo, che raggiungono un apice quasi disorientante nel capitolo dal titolo (in tedesco!) Sehnsucht, struggimento: lo struggimento si esprime innestando italiano e spagnolo, perché forse è solo fondendo le due lingue dell'io narrante che questi raggiunge la piena espressione di sé.
Le pagine esprimono, in forme diverse, il senso del passaggio, talvolta sinonimo di perdita, talaltra di riscoperta di un passato che non passa. Perdita è l'esilio da un paese in mano alla dittatura, narrata in pagine di grande intensità che alternano il dramma della repressione alla incontenibile voglia e lotta per la libertà; riscoperta è la vita a Milano, dove sorprendentemente l'io narrante ritrova un compare di gioventù, Tiago, (ecco il passato che ritorna) su cui la vita sembra non voler smettere di accanirsi. Anche Tiago ha condiviso l'esperienza della repressione, uscendone inguaribilmente segnato. Sono le sue parole a incarnare la seconda voce narrante, riportate in corsivo nel testo sottoforma di lettera-testamento affidata all'amico: «vorrei chiederti di scrivere questa storia per me, non ci so fare con le parole, lo sai (neanche con la vita, del resto), e poi mi viene da compiangermi, e non è una bella cosa» (21)
Ecco quindi la storia di Tiago, la sua giovinezza, i suoi ideali, l'implosione degli stessi e poi una nuova vita a Milano, una passione travolgente e drammatica come solo le passioni possono essere, ancora passaggi, dipartite, nel tentativo di non farsi spezzare, nel tentativo di «arrivare indenni a sera» (398)
Il romanzo di Fernández è un lungo, articolato, pluristratificato viaggio che dimostra abilmente, come l'autore ha scritto altrove, che letteratura e vita sono «pressappoco la stessa cosa».

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti