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La fame

Editore: 
Einaudi
Luogo di edizione: 
Torino
Anno: 
2015
Traduttore: 
Sara Cavarero, Federica Niola, Elena Rolla


Recensione: 

Lo intitola senza mezzi termini: "La Fame" e la esamina, la fame che uccide. La carestia, più facile da capire, con una causa identificabile - il disastro naturale, un tiranno, la guerra - più circoscritta, ogni anno SOLO 50 milioni di persone; la malnutrizione strutturale, cronica, protratta nel tempo, che passa di madre in figlio, l'insicurezza alimentare che riguarda due miliardi di persone.

"Dico, voglio dire, ma non so come dirlo: voi gentili lettori, così pieni di buone intenzioni, un po' smemorati, riuscite a immaginare che cosa significhi non sapere se domani potrete mangiare? e, ancora, riuscite a immaginare come possa essere una vita fatta di giorni che si susseguono ad altri giorni senza sapere se domani potrete mangiare?Una vita che consiste soprattutto in questa incertezza, nell'angoscia di questa incertezza e nello sforzo di immaginare come alleviarla, non potendo pensare a nient'altro perchè ogni pensiero si tinge di questa mancanza? Una vita così limitata, così breve, a volte così dolorosa, così combattuta?"

Lo scrittore cita molte cifre e offre molti dati, ma con l'avvertenza che i numeri tendono a salvare la coscienza, a rendere asettica e lontana, dominabile una realtà che non si può concepire. Lui cerca invece le persone nella vita loro quotidiana, le guarda negli occhi e le interroga, pone domande a cui spesso nemmeno sanno rispondere perchè non immaginano una realtà diversa da quella che vivono. Lo fa in tutto il mondo, nell'Altro Mondo, nei paesi senza via d'uscita, tra i poveri, i più poveri.

"Nell'Altro Mondo non ci sono case stabili, non ci sono fognature, non c'è acqua corrente, non ci sono ospedali nè scuole che curino o insegnino, non ci sono lavori dignitosi, non c'è uno Stato che protegga, non ci sono garanzie, non c'è futuro.

Nell'Altro Mondo non c'è, soprattutto, cibo per tutti."

Slum bidonville baraccopoli favelas villamiseria: i poveri dell'India che accerchiano la "zona di palazzi servizi affari capitalismo che funziona" o quelli del ricchissimo e fertile Bihar dove un bambino su due è denutrito, i contadini rimasti senza terra del Bangladesh e quelli depredati del Madagascar, i poveri delle mense in USA - ma "un povero americano è molto più ricco del contadino indiano o del pastore kenyota", gli argentini che danno l'assalto alla spazzatura nei tre quarti d'ora consentiti e i sud sudanesi che coltivano una terra difficile quando non fuggono per la paura dei militari in guerra .

Nelle sue indagini si appoggia soprattuto alla rete di MSF e esamina anche il lavoro di questi e dei tanti generosi che si muovono in tutto il mondo pieni di buone intenzioni

Vede gli aiuti umanitari mettere cerottini su ferite che non possono guarire finchè la situazione complessiva non cambia. Ne sono ben coscienti gli operatori, salvano quando va bene migliaia di persone, mentre milioni restano perdute. Rende conto dell'azione di generosi capitalisti e delle politiche (umanitarie e di autodifesa) di paesi ricchi intenzionati a rendere il mondo più sicuro.

Esamina anche se stesso, il suo interrogare, il senso del suo scrivere, la crudeltà e l'invadenza delle sue domande. E si risponde che la fame non esiste per legge di natura: "considerare il culturale - il transitorio - come naturale è la trappola peggiore, significa rassegnarsi a non pensare alternative. E, allora, questi viaggi ridicoli - e perfino raccontarli - sono un modo di dire che tutto può cambiare perchè tutto cambia sempre."

In paragrafi che chiama "Le Voci" riporta le opinioni dominanti, le falsità più diffuse che danno la fame come conseguenza della povertà - e i poveri ci sono sempre stati e non hanno voglia di lavorare e fanno troppi figli e ...- Le Voci danno la colpa ai poveri di essere poveri e ripetutamente Caparrós si/ci chiede come riusciamo a vivere sapendo che si muore di fame.

Il punto non è nemmeno migliorare i sistemi produttivi, chiedere sempre aiuto alla tecnica. "Il punto è chi ne trae benefici".

Perché, per Martín Caparrós, "la principale causa della fame è la ricchezza: il fatto che una minoranza si prenda ciò di cui molti hanno bisogno, compreso il cibo." Se la situazione negli anni è peggiorata, è perchè la disuguaglianza è ancora cresciuta. Il pianeta può ancora dissetare e nutrire i suoi abitanti e altri quattro o cinque miliardi, se solo il cibo fosse alla portata di tutti e non solo dei più ricchi,

Non è quindi questione di aiuti caritatevoli: se abbiamo maturato nel tempo una concezione di umanità, se in nome di questa ci preoccupiamo delle disgrazie anche di popoli lontani da noi, dobbiamo fare ancora un passo: "postulare che tutti gli uomini dovrebbero assicurarsi che tutti gli uomini abbiano cibo a sufficienza."

Un mondo senza denutriti sarebbe un grande salto di civiltà, ma è importante anche come ci si arriva: "una cosa è che nessuno abbia fame. Un'altra, ben diversa, che ognuno abbia quello che gli spetta: che nessuno gliela dia, ma ce l'abbia di diritto."

È una vera rivoluzione culturale.

Produzione agricola intensiva e per l'esportazione, dominio economico sulle sementi, distruzione della biodiversità, inquinamento e distruzione della fertilità del terreno, accapparramento di terre e acque, pesca predatoria, il cibo trattato come qualsiasi prodotto finanziario su cui si specula, il cibo sprecato dal campo al frigorifero di casa, quello destinato ad allevare animali che solo pochi mangeranno..: tutti i mezzi che abbiamo inventato per diventare sempre più ricchi (come paesi, come persone, ma sempre in pochi) affamano altri uomini.

La fame è il modo più estremo di dire povertà. "Una metafora: la più brutale, più immediatamente comprensibile del disprezzo che alcuni nutrono per altri, del disinteresse per la loro sorte." La macchina economica che abbiamo messo in moto non sa che farsene di milioni di persone, li scarta, al massimo gli dà un po' di elemosina. "Ma potrebbe anche funzionare un proposito economico diverso, dove non si produca per il consumo sfrenato di una parte ma per provvedere il necessario a tutti. Il problema, di nuovo, non è lo sviluppo ma chi lo controlla.

Il problema è politico."

 

Autore della recensione: 
Maria Rosa Mura
Pagine di...: 

CONFINI

Occuparsi della fame richiede una certa idea - debole - di internazionalismo, o meglio, di umanità: postulare che tutti gli uomini dovrebbero assicurarsi che tutti gli uomini abbiano cibo a sufficienza. Se non fosse così, in nome di che cosa ci preoccuperemmo delle disgrazie di etiopi, kazaki, bengalesi?

È un concetto straordinario, un grande progresso concettuale che non si è ancora concretizzato nella pratica sociale. Potrebbe estendersi, tornare a crescere. Per adesso il grado di "umanità" esistente basta solo per quello che c'è: dichiarazioni, lacrimucce, lacrime di coccodrillo, aiuti, salvataggi. L'umanità come modalità della colpa. Basta per mandare sacchi di cereali; non per smettere di guadagnare molti soldi. Non per cercare una soluzione reale al problema.

Non per metterlo sullo stesso piano delle difficoltà dei più vicini: dei compatrioti.

I paesi non sono solo una stupidaggine; sono una bastardata. Sono il meccanismo per il quale le strutture che chiamiamo Stati fanno in modo che i loro sudditi abbiano, in generale, più di quelli di altre strutture simili. E al contempo, naturalmente, fanno in modo che alcuni dei loro sudditi abbiano molto di più degli altri. [...]

L a nazionalità è una riduzione dell'umanità: la legittimazione di un certo egoismo. Se si accetta che devo essere più solidale con il gruppo che ha il mio stesso documento, il principio di esclusione è ormai stabilito. Chi esclude la gente di un altro paese può, con lo stesso procedimento, escludere senza molta difficoltà la gente di un'altra provincia, di un'altra religione, di un altro orientamento sessuale, di un'altra razza, con altre opinioni sul consumo di bibite gassate a colazione.

pagg. 514 sg