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Il fuggitivo

Autore: 
Editore: 
Iperborea
Luogo di edizione: 
Milano
Anno: 
2010
Traduttore: 
Eva Kampmann

Recensione: 

Quando è uscito in Danimarca questo romanzo ha suscitato molto scalpore e molte polemiche. Non certo per la vita libera che conduce la protagonista ("aveva ripreso a mangiarsi uomini appetitosi mattina, mezzogiorno e sera, ma non si addormentava mai sazia") nè per le esplicite scene di sesso: questo libro inchioda un'intera nazione alle sue responsabilità di fronte all'immigrazione e alle politiche che ha adottato. Mette sotto la lente di ingrandimento e di analisi in particolare politici e giornalisti nelle loro diverse e complesse individualità. Quello che affascina nel libro è proprio la costruzione sapiente e umana dei personaggi, la loro completezza, le molte sfaccettature, l'imprevedibilità, non si tratta di manichini designati ad incarnare il bene e il male, l'ingiusto e il corretto.
Un discorso così teorico, la posizione di uno stato, dei suoi politici e dei giornalisti, a fronte dell'immigrazione, viene condotto attraverso un caldo coinvolgimento emotivo che si addentra nella psicologia di molte figure di spicco, in primo piano una giornalista danese di vaglia e il suo giovane rapitore iracheno, figure dolenti ciascuna con le sue tragedie alle spalle, in mezzo a vari tipi di giornalisti, di uomini politici, di militari e di poliziotti, di dirigenti dello stile "non siamo noi a fare la legge, noi l'applichiamo".
Il direttore del giornale che lo guida come una qualunque azienda e non è più, o non lo è mai stato, un vero giornalista, ma non fa che preoccuparsi di un presunto lettore della ricca borghesia e delle sue presunte opinioni, uno Yakob di cartone che troneggia ovunque nella sede del giornale. Il giornalista-investigatore che deve rifarsi a qualunque costo di una vita di umiliazioni, i generosi che non rifiutano un aiuto a chi ha bisogno anche a costo di sacrifici personali, avvocati e politici ancora animati da forti convinzioni tanto da giocarsi la loro posizione, altri spinti solo da calcoli di bottega, altri ancora scossi dal dubbio.
Sullo sfondo una Danimarca ricca linda ben curata benestante con uomini d'affari superimpegnati e un presunto bisogno di nuovi parcheggi e di campi da golf, una nazione in pace "che non vuole essere disturbata" e per questo lentamente e inesorabilmente degrada nel suo livello di umanità. Rispetto alla Danimarca risalta in controluce una Svezia la cui legislazione risulta nei fatti ben diversa e ben più rispettosa della comune umanità.
Stiamo parlando di una nazione lontana? Questo quadro di un paese a chilometri di distanza illumina e mette a fuoco la scena italiana, la nostra legislazione in fatto di immigrazione -legislazione contraria ai diritti dell'uomo e alla Carta costituzionale- con maggior freddezza acutezza profondità di analisi che se avesse parlato direttamente dell'Italia.
In tutti i personaggi possiamo riconoscere figure e volti, parole e ossessioni della nostra deriva nazionale. Questo aspetto ci sta certamente a cuore, il tema discusso anche, siamo di fronte a persona che sa di cosa parla, basta leggere le sue pagine sui campi profughi e ricordare i suoi reportage di giornalista, ma non è tutto: siamo anche di fronte ad un grande e coinvolgente scrittore.

Autore della recensione: 
Maria Rosa Mura
Pagine di...: 

Il giornalista e il suo mestiere
"Tutti quei profughi. Tu non scrivi per loro. Tu scrivi per te stessa. Per ricevere una conferma dagli altri. Soffri dello stesso bisogno di conferme di migliaia d'altri giornalisti. È il motivo per cui hanno scelto questo mestiere. Per poter lustrare il proprio ego ogni volta che si vedono sul giornale." pag. 179 sg.

E una sedicenne afghana profuga dice ad un giornalista che la vuole intervistare:
"Sai che ti dico? Il tuo giornale vuole solo una storia, e tu te ne stai a casa con tua moglie e i tuoi figli e la tua macchina e la tua villa e la tua vita beata, e quando te ne vai via di qui, starai bene. E tutti quelli che leggono il giornale. Anche a loro non importa. Non hanno nessuna voglia di sentir parlare di una come me. Hanno la loro bella vita, loro." pag. 184 sg