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L’ispettore Alì

Editore: 
Zanzibar
Luogo di edizione: 
Milano
Anno: 
2002
Traduttore: 
G. Colace

Recensione: 

In questo libro non si parla in realtà dell’ispettore Alì, ma del suo celebre e ricco autore che dopo vent’anni è tornato a vivere nella sua città con la bella moglie scozzese ed i loro due figli. Due suoceri piombati da un mondo incommensurabilmente lontano creano un gioioso contrappunto che dà più profondità al quadro.Lo scrittore ama la sua città, gode del suo mare. Fanno parte della sua infanzia, della sua identità, come le tradizioni, i canti e le danze berbere degli Gnaua, come la cucina locale, descritta in modo tale che si riesce a sentirne il profumo, ad assaporarla.L’Io narrante guarda quasi dall’esterno questa realtà, familiare, ambientale, che gli è così cara. A volte si mette proprio fisicamente in disparte per godersi meglio la scena (come all’arrivo dei suoceri all’aeroporto) oppure la descrive come se fosse una sceneggiatura con perfino le indicazioni di sequenze e piani.E’ una famiglia felice, tutti sono contenti di trovarsi a El Jadida e insieme: la moglie che parla berbero con il droghiere, lei che ha non so quante lentiggini e molta rispettabilità britannica, i bambini che giocano e ridono con il papà (“la spiaggia era molto vicina, appena cinquanta metri. Ci andammo piegati sui calcagni, facendo “Coccodè”), la domestica piena di vita, allegra, donna affezionata e intelligente, alta e ben in carne, inconsapevole del suo fascino. “Seguirono risate scroscianti e urla animalesche. La più scatenata dei tre era Sadiya. Ieri era stata un orso minaccioso, terribile, l’orso bruno dell’Atlante che difendeva la sua caverna (l’armadio) piena di barattoli di miele dalla tigre (Yassin) e dal lupo (Tarik). “Il protagonista ha l’obbligo contrattuale di mandare qualcosa all’editore ed il bisogno di scrivere. I bambini stessi sorvegliano da vicino. “Di tanto in tanto Yassin mette dentro la punta del naso, come un Sioux. Non dice niente. Il suo sguardo pone sempre la stessa domanda: ”Va avanti, papà?”Ma per lungo tempo ha difficoltà a scrivere, tutto teso a ritrovare la sua terra, ad assaporarla, “da quando ero ritornato non avevo smesso di ascoltare le mie viscere”. Lo scrittore, ritiene, dev’essere un testimone del proprio tempo mentre lui ha inventato l’ispettore Alì che occupa prepotentemente la sua vita e la sua produzione senza lasciare spazio per scritti più seri. Pensa al momento tragico della guerra in Iraq, all’oppressione nel suo stesso paese. “Solo in questo paese, il mio paese natale, il mio, ho contato millecentodue prigioni-tomba. “L’ispirazione viene proprio nel momento tragicomico dell’arrivo dei suoceri. Curiosa e disponibile la suocera, “uomo lento per eccellenza, ponderato”, diffidente, chiuso il marito, che viene preso in cura dal nipote. “Tarik ha adottato Jock...”Vado ad aprirgli gli occhi,” mi ha detto uscendo. “Lo porto dove non si deve.” e all’ora della merenda ritornano insieme. Tarik “saltellando da un piede all’altro, fischiettando” mentre l’uomo prudentissimo che era sceso dall’aereo con “due maglie, una giacca, un soprabito di lana con cintura, a 32° centigradi all’ombra, torna a cavalcioni sul somarello..Rosso come un peperone, lacero.” Lo scrittore relega quindi il suo personaggio, l’ispettore, su una macchina da scrivere e batte i suoi testi contemporaneamente su due macchine. “Vado da una macchina da scrivere all’altra, batto sui tasti, batto.” Per maturare e capire il presente bisogna rivolgersi al passato: “Se non sai cosa è successo prima della tua nascita resterai per sempre un bambino. “ E’ quindi Maometto e la sua umanità il tema profondo, il Passato Remoto con cui spiegare il presente. E’ alla povera gente, agli analfabeti che lo scrittore chiede sedendosi tra loro giornate intere ad ascoltarli. “Come facevano questi facchini, questi poveri ambulanti non autorizzati a vivere la loro fede a brandelli e con la pancia trafitta dalla fame, sul finire di questo XX secolo?....Se avevo qualcosa da imparare, era da loro, nella loro nudità.” Parla dell’uomo Maometto fatto di carne ed ossa, e della genesi di un suo testo importante: “L’Uomo del Libro”.La nascita del terzo figlio dello scrittore coincide con la sua capacità di rivedere la sua identità profonda, nel presente vede il passato, nel figlio vede sua madre.“Vidi il bambino uscire prima con la testa, a pugni chiusi come se tenesse stretto il mondo, lo possedesse, un maschio. E, simultaneamente, vidi mia madre....Mi risalì improvvisamente alla mente tutto il mio passato remoto, netto, chiaro, accecante nei più piccoli particolari – quel passato che avevo sepolto così profondamente dentro di me.” Dopo vent’anni di lontananza è la riscoperta delle sue radici profonde.

Autore della recensione: 
Maria Rosa Mura