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Fortezza Europa

Frammenti di un viaggio in Grecia

Tra i rifugiati siriani sospesi nel vuoto

di Simone Spera

Konitsa

A metà marzo sono tornato a Konitsa, il paese greco vicino all’Albania dove mi ero fermato quest’estate (vedi numero speciale novembre 2016, I confini chiusi non fanno meno male sotto un tetto). Molte cose sembrano cambiate per i rifugiati siriani dal marzo dello scorso anno in cui sono arrivati a Konitsa. Quasi tutti a dicembre hanno avuto un colloquio per il processo di ricollocazione o di ricongiungimento familiare con una commissione delle Nazioni Unite; alcuni credono che tra più o meno un mese riusciranno a cambiare paese, altri temono che non potranno mai lasciare la Grecia, altri ancora si vedono il processo rallentato perché hanno perso i documenti durante il viaggio. Pochissimi, che se la cavano di più con l’inglese, sono riusciti a trovare lavoro e compaiono sulle pagine promozionali delle associazioni come esempi di integrazione di successo; per la maggior parte, però, il tempo si consuma ancora in un’attesa dall’esito imprevedibile. Rispetto a questa estate, molte ONG, spesso straniere, hanno avviato progetti a Konitsa: Terre des Hommes, Arsis, Oxfam. Hanno messo a disposizione autobus per il capoluogo della regione, Ioannina. Hanno attivato un centro comunitario con lezioni di inglese, attività per bambini, laboratori filmici: i rifugiati, però, non hanno risposto con grande partecipazione. D’altronde, si propone una lezione di inglese, ma senza una vera e propria aula con banchi e sedie, e il carattere ludico o addirittura infantile di molte attività non le rende attraenti per giovani e adulti. Le ONG investono molto – un rifugiato che ha iniziato a lavorare per Terre des Hommes mi ha detto che guadagna più di un impiegato pubblico greco – ma su progetti spesso poco mirati, e in ogni caso non si può pretendere che associazioni umanitarie risolvano problemi strutturali e politici del sistema di accoglienza europeo.

Ioannina

Sabato 18 marzo il Movimento Unito contro il Fascismo e il Razzismo (KEERFA) partecipa a una mobilitazione internazionale con manifestazioni in quindici città greche: si chiede l’apertura dei confini, l’abolizione dei campi militarizzati, istruzione, assistenza sanitaria e accoglienza per i profughi. Ma a una di queste manifestazioni, a Ioannina, capoluogo dell’Epiro, davanti al palazzo della Regione non c’è nessun profugo: secondo un membro del KEERFA, dopo che i rifugiati sono stati smistati dal vicino campo di Katsikas in varie residenze è diventato sempre più difficile contattarli. In passato avevano partecipato alle loro mobilitazioni. Io avevo parlato ad alcuni miei amici siriani a Konitsa della protesta. Mi hanno risposto, prima di tutto, che di questa protesta non era detto nulla su un gruppo Facebook di rifugiati che normalmente li teneva aggiornati su iniziative del genere. In più, “non serve a niente”, dicono: “i confini resteranno chiusi”.

Salonicco

Diversa è stata la risposta a Salonicco (come ad Atene), dove più migranti partecipano direttamente alle lotte politiche che li riguardano. Io sono arrivato a Salonicco la sera, e ho passeggiato per la città prima di prendere l’aereo di ritorno per l’Italia, la mattina dopo. Entro in un centro sociale, che funziona da punto di incontro per gruppi politici e rifugiati, e organizza serate e attività. Un greco suona la chitarra, due siriani si esibiscono in un pezzo rap. Incontro nel locale volontari, studenti e lavoratori da varie parti d’Europa, oltre a quasi una ventina tra pakistani e rifugiati siriani. Il centro ha dato l’opportunità ad alcuni di loro di insegnare arabo. Un siriano tra quattro giorni si trasferirà finalmente in Germania; gli dispiace, perché a Salonicco ha trovato un bell’ambiente, ma “in questo paese non c’è futuro, mi ha detto il mio avvocato”. Intanto, il 13 marzo ad Atene due edifici occupati in cui gli anarchici ospitavano rifugiati (villa Zografou e l’Ospedale) sono stati evacuati.

 

Insomma, la situazione dei migranti in Grecia si presenta come un quadro vario e problematico, in cui le risposte vanno dalla repressione alla solidarietà, dalla mobilitazione politica alla disillusione, dalla mancanza di risorse a investimenti inefficienti, il tutto sempre nei tempi lentissimi di una permanenza imposta dall’Europa che ha arginato la loro libertà di movimento.