Babel Hotel è un progetto di scrittura in cammino, una “presa di parola” collettiva sul tema delle città plurali e delle diverse forme di marginalizzazione sociale causate anche dal sentimento di paura legato alla venuta degli immigrati. Ma soprattutto è una potente metafora del futuro sociale e politico che verrà (o che forse già viviamo).
Il libro di Valeria Scafetta raccoglie testimonianze di richiedenti asilo e rifugiati in Italia, in diversi momenti della loro esperienza di profughi: prima e dopo l'ottenimento dello status di rifugiato. Le loro voci mostrano ciò che il discorso mediatico cancella, la spinta a partire perchè nel proprio paese non ci sono più possibilità di vita, il traffico di esseri umani e il dramma delle attraversate per mare.
Il meccanico delle rose è Reza, sua è la storia che viene raccontata, non direttamente, ma attraverso tutte le persone che il suo destino gli fa incrociare. Ognuno dei capitoli è un personaggio ed una storia, orditi che si ricongiungono tutti insieme per delineare attraverso la vita degli altri, la sua, indicando in modo sempre più preciso, carattere, modi, pensieri ed azioni.
Lo scrittore racconta una delicata storia di affetti e insieme di impegno politico militante.
Fabrizio Gatti ha iniziato molto tempo fa un viaggio che lo angoscia, ma che deve fare. Da quando in Svizzera è diventato il signor Agron Ndreci, profugo kosovaro, non ha più alternative. Deve farlo fino in fondo. “Fino in fondo al Sahara. Fin dall'altra parte del Mediterraneo.” “Cercavo il perchè migliaia di uomini e donne si imbarcano su rottami destinati ad affondare”.
Il titolo è volutamente provocatorio. La Somalia non è nei Caraibi, anche se la gente ne sa poco, e queste non sono le memorie di un pastore somalo. È la storia del figlio di una nazione di pastori che il padre sottrae ad un futuro predeterminato portandolo a otto anni da uno zio a Mogadiscio per farlo studiare. Laureato in medicina in Italia avrà un ruolo importante nel periodo entusiasmante e felice in cui si gettano le basi di uno stato somalo indipendente, fino a quando non viene perseguitato per le sue idee politiche.
Si tratta di racconti di scrittori, immigrati o figli di immigrati, che sono ormai molto noti per altre loro pubblicazioni e per l'intensa attività che conducono come testimoni di una Italia interculturale che si va costruendo. Vi si aggiunge uno scritto di Carmine Abate per la sua posizione di 'frontiera' tra antica immigrazione albanese, arberësh, e recente emigrazione italiana, oltre al racconto per immagini di Mario Dondero sulla emigrazione italiana sia verso l'estero sia quella del dopoguerra dal Sud al Nord del paese.
Due voci si alternano di capitolo in capitolo: una maschile, l’altra femminile; una siciliana, l’altra egiziana; una più pragmatica e compatta, l’altra più sfaccettata, ironica, a volte sarcastica. La voce narrante si biforca in due diverse sensibilità (maschile e femminile) e due diverse culture (italiana ed egiziana), che osservano il mondo da angolazioni diverse pur in presenza di pensieri, argomenti, fatti comuni.
Dopo meno di un anno dalla pubblicazione del suo ultimo romanzo, Divorzio all’islamica a Viale Marconi, Amara Lakhous torna in libreria con un Un pirata piccolo piccolo (Roma, e/o, 2011, traduzione dall’arabo e postfazione di Francesco Leggio; introduzione dell’Autore). Il romanzo è infatti la riedizione di Le cimici e il pirata (Roma, Arlem, 1999, traduzione di Francesco Leggio), scritto da Lakhous in arabo nel 1993 ma stampato per la prima volta in Italia ben sei anni dopo.
Si tratta di una raccolta di racconti, brevi storie legate a situazioni reali, che con semplicità e concretezza affrontano il tema dell'esilio, dell'altrove, dell'identità, della migrazione.