«Come ci si sente da clandestini? Male. Oltretutto si entra in concorrenza con chi sta male quanto noi. Un immigrato deve subire, tacere e subire, perché non ha diritti. Deve reprimere dentro di sé ogni reazione, svuotarsi di ogni personalità. Subire con la consapevolezza che questa è l’unica possibilità».
Lo scrittore descrive la vita ad Amman negli anni ’40: la mescolanza di genti fianco a fianco in una piccola città, gli abiti, i cibi, le scuole, le cerimonie religiose e funebri, i rapporti familiari, i giochi dei bambini.
Sarebbe riduttivo definire il primo romanzo di Cristina Ubax Ali Farah, Madre piccola, un romanzo d’esordio: di fatto rivela, e rappresenta, un lungo percorso di intenso lavoro, ricerca e riflessione su temi cari all’autrice. Ubax Ali Farah, italo-somala, si impegna infatti da anni nella composizione di poesie e racconti sui temi dell’immigrazione, delle seconde generazioni, delle donne, tenendo sempre viva, sullo sfondo, l’attenzione al mondo, alla cultura, alle tradizioni ed alla lingua della sua Somalia, a cui, in modi sempre diversi, cerca di dare voce.