La raccolta di racconti curata da Laila Wadia, già autrice di numerose storie e di un romanzo, riunisce autori immigrati in Italia dalle più diverse parti del mondo sotto il segno della… forchetta.
L’idea che anche il cibo e la sua preparazione possano trasformarsi in momento di condivisione, in occasione di ricordo, in tentativo di sconfiggere il vuoto di sensazioni, odori e atmosfere appartenenti al passato di ciascuno attraversa e sostiene il testo, che tuttavia non scivola in romanticismi banali e strappalacrime.
«Con gli anni ho capito che il signor Zacchigna non era un tipo malvagio, al contrario. Non è da tutti affittare le case agli extracomunitari. Molta gente non si fida. Pensano che il passatempo preferito degli immigrati sia distruggere le dimore per poi scappare via senza pagare l’affitto».
Questa una delle frasi che si incrociano nelle pagine di apertura del primo romanzo di Laila Wadia, scrittrice indiana che vive e lavora a Trieste e che da qualche anno ha iniziato a dedicarsi alla composizione in lingua italiana.
Il romanzo chiude il ciclo di puntate radiofoniche del programma Cammei. In onda il 26 giugno alle ore 16.00 sulle frequenze della Rai regionale.
Si tratta di 15 racconti che dipingono molti personaggi dell'immigrazione in Italia, provenienti da diversi paesi.
«Scrivere, vuol dire sognare, visitare luoghi lontani, fare compagnia a persone sconosciute, dialogare, abbattere i muri che ci dividono, superare gli ostacoli che c’impediscono di capirci l’un l’altro. Poi, nel mio caso, significa soprattutto ritrovare, e quindi ricomporre un’esistenza che, ad un certo punto, mi è sembrata annichilita» (p.15).
È la sospensione del movimento già sospeso, quello che prospettano i racconti proposti in questo volume. Essi tendono a cogliere, con una fantasia astrusa ed ironia sottile, gli attimi inerti in un ambiente, il carcere, dove l'«evasione mentale» costituisce l'unico itinerario percorribile. Geometria ardua di un luogo dove le certezze timide sono perennemente alluvionate di sconfitte e repressioni. Per fortuna, di tanto in tanto, frammenti di quegli echi inquietanti trovano la strada sul foglio bianco, affermando, seppure con secoli di ritardo, che la terra è davvero mobile.
Un testo decisamente insolito.
Paola Zaccaria ci offre i risultati di una riflessione pluriennale e ad ampio spettro sulla lingua e sulla traduzione, con un'indagine in profondità su singole parole, semanticamente dense.Il discorso affronta molti temi: la posizione della donna, “straniera” in ogni contesto, il rapporto tra culture nel passato ed oggi, il senso del vivere “sulla soglia”, al confine, l'identità che si allarga come radice a rizoma e non scolorisce nel confronto con l'altro, lo scrivere e il tradurre da lingue creole e di frontiera.
Il gallo fa l'uovo una volta sola, va presa al volo l'occasione irripetibile. L'occasione di vivere, come si può, arrangiandosi ed aiutandosi, anche quando ci si scontra, con umana simpatia.Un condominio di cinque piani a Casablanca, con i suoi diversi abitanti, una realtà sempre difficile, non certo quella della borghesia francesizzata o dei corrotti e ricchi sauditi.
La protagonista ritorna nella casa paterna, nella montagna altoatesina, per il funerale del padre. Se ne era andata anni prima, studiando, lavorando e godendosi la città. E' un momento di riflessione sulla propria esistenza, sui rapporti familiari, ma soprattutto sulla profonda separazione tra i due mondi culturali, italiano e tedesco, che abitano nella stessa terra. Olga ha attraversato questa frontiera e si è legata ad un italiano, un meridionale.