
Leyla, nata in un villaggio ai bordi del deserto, ha un legame particolare con la nonna, una nomade tuareg, grande narratrice. Il libro parla della crescita della bambina, della sua emancipazione grazie allo studio, delle vicende della sua famiglia di cui presenta innumerevoli personaggi, e contemporaneamente si apre sulla storia dell’Algeria negli anni della lotta per l’indipendenza e sui rapporti tra arabi, francesi ed ebrei.
Sono due racconti in cui rievocano la loro vita una contadina e un’insegnante.La prima ha vissuto la povertà dell’inizio del secolo e se ne è andata dall’Istria nell’esodo del secondo dopoguerra quando molte famiglie disperate si sono spaccate, dividendosi sulle due sponde dell’Adriatico; l’altra vive in Istria ai nostri giorni, sempre più sola in una terra intristita e abbandonata da tanti abitanti italiani.Ha vinto il premio Mondello come opera prima.
Assieme a Mario Fortunato l’autore scrive un diario del suo periodo di clandestinità in Italia: è il giovane laureato tunisino partito per la mitica Italia, senza ben sapere se parte come emigrante o per conoscere il mondo, ma che resta deluso nelle sue aspettative. Dal sud al nord della nostra penisola, da una città all’altra percorre tutte le esperienze dell’immigrato clandestino confinato ai margini della società. Non se ne ricavano solo informazioni sulla vita degli immigrati, ma anche una analisi della società italiana e del suo modo di rapportarsi con gli stranieri.
Un emiliano si trasferisce per lavoro a Tashkent, in Uzbekistan, dove insegna italiano presso l'università.
Sono otto racconti che aprono una finestra su Kingston e sulla sua popolazione, sull'interdipendenza tra l'isola e l'Inghilterra o gli Stati Uniti, tra chi resta e chi emigra; tensioni sociali e politiche trasmesse con le emozioni di individui veri. Nonne che allevano i nipoti quando le madri emigrano e a volte li lasciano per sempre. Bambine intelligenti e bellissime falciate dalla criminalità violenta del ghetto in cui vivono. Camere troppo piccole dalla cui miseria non si riesce ad evadere. Velleitari desideri di reagire alla politica di colossi come gli Stati Uniti.
Per molti Antigua è soltanto un’isola di spiagge bianchissime accarezzate dagli alisei, una per ciascun giorno dell’anno. Jamaica Kincaid, che ci è nata, ce ne mostra una faccia diversa. E, d’improvviso, è come se nello smalto verdazzurro dei Carabi si scoprisse una ferita in suppurazione, prodotta da politici predatori, interessati solo a perpetuare lo sfruttamento di chi, tanto tempo fa, colonizzò l’isola. Nulla riesce a contenere l’incalzare degli insulti che, con algida insofferenza, Jamaica Kincaid riversa su tutti, turisti compresi.
E' la storia, in parte autobiografica, di Xuela, di madre cariba e di padre per metà scozzese, ricostruita attraverso le figure dei familiari e dei suoi rapporti con loro. La protagonista supera prove molto dure, ma non è una sconfitta, anzi legge con chiarezza il proprio destino e l'identità del popolo, rimescolato dalla storia, che abita la sua isola.
Tre vite diverse sono dominate dalla stessa necessità e unite nello stesso destino. Tre disperati senza terra cercano di sfuggire alla povertà in cui li costringe la loro condizione di Palestinesi. Il sogno è riuscire ad entrare nel ricco Kuwait per cercare un lavoro di qualsiasi tipo e così conquistarsi un futuro migliore. Un camionista, anche lui con una sua sofferenza, offre loro l'opportunità di passare clandestinamente la frontiera. Tra continui flash back la loro storia si avvia ad una cupa conclusione.
Cheope viene convinto dai suoi alti dignitari ad intraprendere la costruzione della piramide: è necessario al potere che il popolo sia impegnato in una simile folle impresa. Fatica, angoscia, terrore, lutti, finalizzati ad un qualsiasi inutile scopo, sono il cemento dell’assolutismo. Gradone dopo gradone la piramide si innalza inghiottendo risorse e vittime, partorendo nel tempo altri simboli del terrore e del dominio come le piramidi di teschi di Tamerlano, piccolissimi ma altrettanto feroci, i bunker dell’Albania.