Chi sono i rifugiati? Perché sono chiamati così? Perché devono lasciare la loro casa? Perché spesso non vengono accolti nel paese dove arrivano? Un albo illustrato semplice quanto necessario che esplora cosa significa essere un rifugiato con parole che arrivano dritte al cuore. Utile a genitori, insegnanti ed educatori per introdurre ai bambini un argomento importante e delicato dei nostri giorni. Non solo un libro: un piccolo importante strumento che sensibilizza i bambini al tema. Per rispondere con semplicità a una domanda a cui i grandi non sanno dare facile risposta.
Riportiamo alcune delle parole della traduttrice, Anna Nadotti, che bene illustrano l'importanza della lettura di questo romanzo, che ritorna sui legami coloniali tra Italia e Etiopia e sul loro retaggio.
“Vivo per questo” è un viaggio in una Babele metropolitana di colori, culture, suoni e voci. E' la storia di un bambino e di una famiglia sempre in bilico sull'orlo della legalità. Una storia che parte veloce su una tavola da skate, correndo sui marciapiedi di Tor Pignattara inseguita da negozianti inferociti, con Roberto detto Kyashan e Napoleone, amici inseparabili. Una storia che segue le movenze irresistibili della breakdance con Crash Kid, amico e mito scomparso troppo presto.
Rileggendo in chiave rap elementi di poetica, Amir Issa fa scoprire ai ragazzi che le canzoni che ascoltano dal cellulare sono anche il risultato di un esercizio linguistico. Educazione rap, oltre a essere il racconto delle esperienze peculiari vissute da Amir nelle scuole e università, è anche uno strumento per un percorso che mette al centro gli studenti e la parola, le emozioni e la lingua, la vita e l’esercizio.
Una scelta coraggiosa, quella di ripubblicare a sessant’anni di distanza il romanzo di Emanuelli. E' ambientato a Mogadiscio negli anni Cinquanta, anni in cui gli ex colonizzatori italiani tornavano in Somalia per “insegnare la democrazia”, anni dell’amministrazione fiduciaria. Questo clima non è molto diverso da quello di qualche tempo prima, in quanto permangono, in forme solo talvolta più subdole e meno esplicite, violenze, razzismo e abusi.
Non è semplice trovare le parole adatte per descrivere i rapporti tra italiani e stranieri. Così come non è semplice individuare il senso stesso della parola “straniero”, quando quel senso vive dentro confini che la legge e la cultura di adozione non reputano mai propri fino in fondo. “Razzismo” è una parola fraintesa, abusata, rifiutata. Suscita immaginari che nella società italiana sono difficili da guardare. La negazione è dietro l’angolo, la soluzione sfugge.