«Che strano destino quello delle persone di origini cinesi in Italia! Si era passati dalla paura per il possibile contagio di famigliari e amici in Cina, alla preoccupazione per il razzismo e le discriminazioni nella vita quotidiana e, una volta che l’epidemia si era spostata in Italia, alla paura del contagio per se stessi e i propri cari.»
"Il giardino dei frangipani" racconta la vita di Kumari, giovane orfana indiana immigrata in Italia. In un susseguirsi di traversie, la protagonista arriverà a domandarsi, sulle orme di James Joyce: «Torneresti mai a vivere nella tua città d'origine?» La risposta è una domanda aperta al lettore: «L'ho mai veramente lasciata?» Con questo romanzo post-coloniale, l'autrice scava nella "doppia assenza" e nella "doppia appartenenza" in cui vivono tanti cittadini del mondo d'oggi, sospesi tra una madrepatria lontana, e forse neanche mai vista, e una nuova identià.
Notturno, girato nel corso di tre anni sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, racconta la quotidianità che sta dietro la tragedia continua di guerre civili, dittature feroci, invasioni e ingerenze straniere, sino all’apocalisse omicida dell’ISIS. Storie diverse, alle quali la narrazione conferisce un’unità che va al di là delle divisioni geografiche. Tutt’intorno, e dentro le coscienze, segni di violenza e distruzione: ma in primo piano è l’umanità che si ridesta ogni giorno da un “notturno” che pare infinito.
Il Gioco degli Specchi invita all'inaugurazione di
Un Sacco Bello
martedì 15 dicembre, ore 15 via dei Mille 20, Trento
Il Gioco degli Specchi inizia un servizio per le persone che non hanno casa e sono costrette a dormire in strada: Un Sacco Bello, servizio di custodia giornaliera di sacchi a pelo/coperte, aperto tutti i giorni in via dei Mille 20, ingresso da via Malta di fronte a Villa Igea.
“Solo che, loro, di rimettersi al proprio posto pare che non ne abbiano alcuna intenzione. Magari non ce l’hanno neppure, un proprio posto.” Diana, Pietro, Manuel e Carla sono i quattro coprotagonisti di un romanzo polifonico, ambientato durante un torrido agosto milanese. Hanno dai 30 ai 40 anni e sono precari, soprattutto a livello affettivo. Un decennio prima avevano partecipato, senza conoscersi, a un funerale. Ciascuno di loro infatti, per un diverso motivo, ha un legame con la defunta, Ashima: una professoressa di scultura, di origini indiane, che si è suicidata all’età di 50 anni.
Né io né lei immaginavamo che, una volta scese da quell’aereo, nonostante avessimo appena sorvolato il Sahara e il Mediterraneo, il viaggio non fosse ancora terminato. Mancava un’altra frontiera, spesso meno di due millimetri, densa e oscura come la selva dantesca: la nostra pelle nera, limes fitto che divideva i superiori esseri umani dagli inferiori primati in cui ci saremmo trasformate. Abbiamo incontrato troppi di quelli che chiamo “presbiti e miopi epidermici”: quelli che non vedono oltre la nostra melanina.
Una raccolta poetica ancora nel segno, come le precedenti, di uno sguardo attento alle piccole cose che assumono significati profondi, simbolici, attraversata da equilibrio, gentilezza e grande desiderio di comunicazione che si esprime in una "voce civile", come ben evidenziano le note critiche dei giurati poste in apertura del prezioso volumetto e il commento finale per la penna di Maria Borio che coglie bene il senso dell'opera e di cui riportiamo una citazione: "Libri come Ero in un caldo paese, dunque, offrono anche una chiave per riflettere su come spostare altre lenti sopra l
A quattordici anni, seduto su un cuscino, davanti a un minuscolo sarcofago (il «tutankamino») col dito di suo padre dentro, Anteo Aldobrandi ha cominciato a levitare. Da allora non ha mai cessato di sperimentare questa misteriosa forza cosmica che lo tira su, anche solo di poco, perché l’importante non è quanto uno riesca a sollevarsi da terra, ma riuscire a staccarsi e mantenere una propria stabilità. Finché, ormai quarantenne, un postino gli consegna una busta verde pastello con dentro una denuncia.
Con lo scopo di salvare i migranti dall’annegamento nel Mediterraneo, Axel Steier e la ONG tedesca Mission Lifeline hanno lavorato per anni per raccogliere fondi, fino a riuscire, insieme ad altre due organizzazioni spagnole, a comprare una nave e partire. Nella loro città, Dresda, l’idea trova molti sostenitori ma altrettanti nemici, e poi c’è la dura realtà che li attende in mare: dalle barche di profughi che affondano sotto i loro occhi ai colpi di arma da fuoco della milizia libica. Per due anni il regista ha seguito Axel e il suo team, tra la Germania e il Mediterraneo, dove l’impegno a salvare persone dalla morte certa si trasforma in lotta per l’ideale europeo. La nave della ONG è stata alla ribalta delle cronache quando, nel giugno 2018 con 234 naufraghi a bordo, fu una delle prime a dover cercare per giorni un porto e un paese che le permettesse di attraccare. La formula del documentario esclude il rischio di "finzionalizzazione" e per questo risulta ancora più diretto , con momenti di concreta tensione come quando avviene un incontro/scontro con una imbarcazione libica che rivoleva i migranti indietro. Un documentario che andrebbe diffuso capillarmente, in quanto spazza via ogni retorica evidenziando il rischio reale che i soccorritori corrono, gli ostacoli che devono affrontare (anche ben prima di partire e che non sono solo rappresentati da gruppi politici avversi ma anche dalle istituzioni e dal pensiero diffuso nella gente di cui il documentario offre uno squarcio molto duro, perlomeno a Dresda) e le condizioni che uomini, donne e bambini affrontano alla ricerca di una opportunità migliore
Siamo in un’innominata città inglese, uguale a molte altre in Europa, ai cui margini vive una comunità pachistana. Il romanzo si apre con la scomparsa di due amanti, Chanda e Jugnu e ben presto la polizia decide di arrestare i due fratelli di Chanda, indignati dalla loro relazione adulterina. La trama si svolge attorno a questa indagine e apre un mondo al tempo stesso vicinissimo a noi e assolutamente ignoto e inimmaginabile. Kaukab, cognata di Jugnu, vive da più di quarant’anni in Inghilterra, non parla la lingua e cerca di avere a che fare il meno possibile con i bianchi.