"La freccia di Dio" è un romanzo pubblicato nel 1964, a sei anni di distanza da "Il crollo" e ne rappresenta un completamento. Il diretto collegamento con "Il crollo" si radica nel dilemma dell'opposizione o meno alla presenza e alla cultura dei bianchi. Se nel primo libro si poteva ancora pensare a opporsi allo straniero, "La freccia di Dio" è carica della consapevolezza che si fa strada di non poter mai più prescindere dalla presenza di un altro modo di vivere e di pensare. Il protagonista è Ezeulu, sacerdote di un dio che rappresenta l'unità dei villaggi.
La Storia dei potenti si intreccia con la vita semplice, spesso sofferta, sempre intensa, degli umili, l'amore di Ismail, carico di nostalgia, per la patria con quello intimo e dolente per il padre, gli ideali di giustizia e libertà con l'impegno a parlare per chi non può più farlo. E ancora una volta, l'incontro tra Persia e Occidente, tra impervie montagne iraniane e dune olandesi, tra poesia, icastica e lieve, e una lingua sobria ed essenziale, intesse motivi inattesi e preziosi, figure mitiche e fiabesche nella trama della nostra cultura.
Impetuoso, lieve, sconvolgente: è il vento che soffia senza requie sulle pendici del Rossarco, leggendaria, enigmatica altura a pochi chilometri dal mar Jonio. Il vento scuote gli olivi secolari e gli arbusti odorosi, ulula nel buio, canta di un antico segreto sepolto e fa danzare le foglie come ricordi dimenticati.
Hanno quattordici anni e molti sogni Nicola e Anna, quando s'incontrano nella bella Crotone, in riva al mare. Lui ha il mito di Pietro Mennea: vuole diventare un grande velocista e ci riuscirà. Lei ha il mito di Lucio Battisti, al quale scrive lunghe e appassionate lettere, e sogna di vederlo interpretare i testi che compone. E anche lei riuscirà a diventare un'affermata paroliera. Nicola ci mette poco a innamorarsi di Anna. Lei di più. Ma poi lo adorerà. E saranno anni belli e pieni, anni con il vento tra i capelli. Ma veloci, appunto. Non tutto fila per il verso giusto.
Cinque personaggi si contendono la scena all'interno della zona transit dell'aeroporto Charles De Gaulle, impazienti di raccontare le proprie vite, accostate e contrapposte, di confessarsi. C'è Bashir, un mercenario di Gibuti che ha combattuto i ribelli per conto d'un governatore corrotto; c'è Harbi, diviso tra due esperienze e due continenti: gli anni di studio in Francia e il presente a Gibuti; c'è sua moglie Alice, déracinée volontaria, che ha lasciato la nativa Bretagna e scoperto un nuovo mondo; c'è il figlio Abdo-Julien e il nonno Awaleh.
Wais, ex maratoneta e un tempo eroe nazionale, sua sorella Anab, unica figura femminile, il poeta Dilleyta e il medico Yonis sono le voci, quasi spettrali, che compongono questo insolito romanzo, ricco di improvvisi cambiamenti di ritmo e tonalità, colte citazioni letterarie e proverbi popolari ripetuti a mo' di ritornello.
Con queste pagine, a metà tra il racconto lirico, la fiction, la testimonianza e la riflessione, l'autore si propone solo di consegnare una sua personale visione della tragedia ruandese, nella speranza di «restituire la sua parte di umanità perduta al paese» e di scuotere l'animo e la mente di qualche lettore. Le testimonianze di individui comuni dei due gruppi, hutu e tutsi, da anni in lotta tra di loro, le stragi, l'orrore dei luoghi del genocidio si alternano alla bellezza della natura e dei paesaggi, in una scrittura dal carattere rapsodico-evocativo.
Testo di un viaggiatore appassionato che cerca per anni di conoscere una nazione scavando nella sua storia, leggendo i suoi scrittori, ascoltando le voci della sua gente. Non si tratta di un'opera accademica, il discorso ha il piglio fresco del giornalista, ma anche le piccole note sulla stanza d'albergo, sul cibo, sui mezzi di trasporto, contribuiscono a ricreare una variegata realtà. Il viaggio percorre il paese da una città all'altra annotando tutto ciò che attira l'interesse, dal monumento al mercato all'architettura alle strade. Non mancano le piste di approfondim
Alcuni amici, intellettuali che vivono a Sofia, decidono di acquistare una casa in un villaggio isolato nei monti Rodopi. È la scelta di una vita semplice, a contatto con la natura, con rapporti umani che ridiventano importanti, in una comunità di persone che si conoscono, si apprezzano, si sopportano. È scomodo arrivare fino al villaggio, non è facile viverci, bisogna industriarsi a lavorare con le mani, ma il tempo assume un altro sapore e torna ad esistere. Soprattutto si esce dalla gabbia di cemento della città e dalle imposizioni del socialismo di stato. Fin
Dieci racconti, tradotti dall'originale inglese, ripercorrono la storia recente del Vietnam disegnando vari ambienti e varie figure, con leggerezza, precisione e molta umanità.